Diventare papà: verso una paternità consapevole

Parlare di paternità è sempre difficile; mentre ci sono fiumi di parole su come la mamma vive prima, dopo e durante l'esperienza della gravidanza, e ci sono molte parole anche per parlare di coppia, ci sono poche parole per parlare di paternità, e ancor meno per parlare di emozione e paternità. In questo articolo vogliamo parlare proprio di questo; di cosa e come vivono gli uomini quando diventano padri e di quella parte di mondo interiore che le compagne possono esplorare attraverso gli occhi di un figlio che inizia il percorso per diventare padre.
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Che cosa è o chi è un papà?

Domanda difficile, risposta difficile.

Un papà è un uomo che ha scelto e deciso di essere un papà. Lapalissiano.
O forse no.

Perché per generazioni e generazioni la funzione paterna si è legata a filo doppio con la funzione normativa: un papà è quello che "mette le regole" e soprattutto che le fa rispettare. D'altronde, come potrebbe essere diverso, visto che il papà è storicamente quello che deve occuparsi della sicurezza della famiglia e del suo sostentamento.

Ma per un neonato o per un bambino piccolo, che il papà non ci sia perché "deve lavorare" interessa poco, molto poco. Certo, impara presto questo modello di funzionamento e, se può e le situazioni lo consentono, si appoggia ad un altro caregiver, un altro adulto di riferimento.

Ma credo che, se lo chiedessimo, il piccolo risponderebbe che vorrebbe il papà vicino esattamente come vuole la mamma. A complicare di più le cose, a mettere ulteriore distanza c'è il fatto che un papà non può vivere nello stesso modo la gravidanza e per questo sembra condannato senza appello a una posizione di secondo piano. Da questo empasse però può trovare via di uscita cercando, volendo, desiderando quello spazio, capendo che è importante per se stesso e per il suo piccolo.

Tra essere e sentire

Essere padre è attraversare la capacità di generare per entrare nella genitorialità, è responsabilità, è testimonianza. Ma sentirsi padre è anche accettare un cambiamento e una trasformazione interiore - radicale - su un percorso non lineare e inesplorato. Soprattutto è costruzione di una nuova identità e così come accade per la compagna è costruire uno spazio nella nostra mente per quel bambino, uno spazio che ci rende vicini a lui anche quando non siamo presenti, che ci fa sopportare le notti insonni.

In una parola è aprirsi a quella parte emotiva ed emozionale che per troppo tempo non ha fatto parte del cosiddetto pater familias.

Il passaggio da figlio a padre è il passaggio che permette al bambino anche molto piccolo di percepire l'amore di quell'adulto non come un "anche" ma come un "soprattutto"; se entrassimo nella mente del bambino, mentre troveremmo per la mamma questa richiesta "dammi il senso di questa esperienza qui", la grande domanda per il papà sarebbe probabilmente "fammi vedere che sono per te la cosa più importante e non una cosa tra le altre" (lavoro, responsabilità, pensieri).

Difficile come scalare l’Everest

Così il nostro bambino, appena nato, ci fa la richiesta più difficile del mondo: aprirci all'emotività, mettersi in gioco nella costruzione di una relazione che chiede coinvolgimento costante. Un duro colpo per il concetto del "maschio che non deve cedere mai".

Eppure le cose sono cambiate dai padri di solo un paio di generazioni fa. Ora anche al papà viene chiesto - per fortuna - di occuparsi del piccolo nell'accudimento quotidiano: allattamento, cura del cordone ombelicale, bagnetto, culla. Tutte queste azioni hanno un denominatore comune: il contatto fisico con il proprio piccolo.

Proprio questo contatto fisico, misto a paura di sbagliare, di far del male, di non sapere "come" toccare e muovere rappresenta il primo passo del viaggio da "essere" a "sentirsi". È un passo importante perché riduce le distanze e avvicina i papà in quel mondo che tutti raccontano come il "mondo di mamma e bambino": è la mamma che nell'immaginario collettivo si occupa di nutrire, accudire e toccare il proprio bambino, relegando il papà ad una funzione di spettatore passivo, distante, estraneo. Anche i papà finalmente possono accedere al contatto fisico con il proprio piccolo: quel contatto di cui si parla ancora troppo poco tra papà e bimbo crea relazione e attaccamento.

Questo significa che nella mente del papà si apre la porta (mediata dagli ormoni) ad una nuova sensazione di tenerezza. Anche l'AIMI promuove il massaggio neonatale come pratica per facilitare la relazione. In questo senso potremmo parlare di "mani del padre" citando in modo maldestro e scimmiottato Recalcati, come mani in grado di sorreggere, di dare sicurezza ma anche di accompagnare il bambino verso l'esplorazione del mondo. In questo il papà ha ancora un ruolo di prim'ordine: non è un caso che siano i papà a giocare all'aereoplano lanciando il proprio bambino per poi riprenderlo con forza e sicurezza.

I benefici dell’alimentazione al seno per mamma e bambino sono ormai considerati un dato di fatto, supportato dalla vastissima letteratura scientifica disponibile.

Riassumendo, possiamo dire che i 3 vantaggi principali sono:

  1. Fornisceprotezione contro le malattie gastrointestinali e respiratorie che, contrariamente a quanto si crede, comunemente sono presenti, seppur in misura minore, anche nei paesi industrializzati e non solo in quelli in via di sviluppo;
  2. Riduce gli episodi di diarrea e dissenteria, una delle cause della morte neonatale.
  3. Fornisce energia e sostanze nutritive che migliorano lo sviluppo cerebrale e riducono il rischio di sovrappeso e obesità in età adulta. Il latte materno garantisce oltre il 50% del fabbisogno tra i 6 e i 12 mesi e oltre il 35% tra i 12 e i 24 mesi

L’allattamento al seno è protettivo anche nei confronti della madre e contribuisce a ridurre il rischio di cancro alle ovaie e al seno, oltre ad avere un blando effetto di contraccettivo naturale, inducendo l’assenza delle mestruazioni (amenorrea da allattamento) aiutando così a distanziare le gravidanze.

A proposito di latte materno, riteniamo sia fondamentale fare un piccolo approfondimento su come avviene la produzione di questo alimento così importante nel corpo della donna.

La decisione di avere un figlio: la prospettiva paterna

Quando si parla della decisione di avere un figlio, l'attenzione è spesso rivolta alle donne. Si discute del loro orologio biologico, del loro desiderio di maternità, delle loro paure e aspettative. Ma cosa succede nella mente e nel cuore degli uomini che si avvicinano a questa decisione?

La realtà è che gli uomini vivono questo momento con un'intensità emotiva che raramente viene riconosciuta o validata. Le ricerche mostrano che i futuri padri attraversano una complessa gamma di emozioni: dall'entusiasmo alla paura, dall'orgoglio all'ansia per le responsabilità che li attendono[1].

Molti uomini si interrogano profondamente sulla propria capacità di essere "buoni padri", spesso confrontandosi con modelli paterni del passato, sia positivi che negativi. "Sarò in grado di fare meglio di mio padre?" o "Riuscirò a essere presente come lo è stato lui?" sono domande comuni che emergono in questa fase.

Un aspetto particolarmente significativo è la preoccupazione economica. Uno studio condotto dall'Università di Padova ha evidenziato come per molti uomini italiani, la stabilità finanziaria rappresenti un prerequisito fondamentale per considerare la paternità[2]. Questa preoccupazione, lungi dall'essere superficiale, riflette un senso di responsabilità profondamente radicato nella concezione tradizionale del ruolo paterno come "provider". Come professioniste, è essenziale creare uno spazio sicuro in cui i futuri padri possano esprimere queste preoccupazioni senza sentirsi giudicati.

Possiamo farlo attraverso:

  • Colloqui individuali dedicati, in cui l'uomo possa parlare liberamente delle proprie emozioni senza la presenza della partner;
  • Gruppi di confronto tra futuri padri, facilitati da professionisti formati;
  • Materiale informativo specificamente pensato per gli uomini, che affronti le loro preoccupazioni peculiari.


È importante riconoscere che la decisione di diventare padre può essere vissuta in modo molto diverso rispetto alla decisione di diventare madre. Mentre alcune donne possono sentire un forte richiamo biologico alla maternità, molti uomini sviluppano il desiderio di paternità attraverso un percorso più graduale e riflessivo, spesso influenzato dalla relazione con la partner e da considerazioni pratiche sulla propria vita.

Alcuni uomini possono anche sperimentare ambivalenza o timore di fronte alla prospettiva della paternità, sentimenti che raramente trovano spazio di espressione in una società che tende a celebrare acriticamente la genitorialità. Come professioniste, dobbiamo normalizzare questi sentimenti, aiutando gli uomini a comprendere che l'ambivalenza non è sinonimo di inadeguatezza, ma parte naturale del processo decisionale.
Gli stessi ormoni che guidano i cambiamenti psico-fisiologici del corpo della mamma durante la gravidanza sono responsabili dei cambiamenti del seno nella preparazione e nel proseguimento dell’allattamento. Il primo cambiamento che la mamma può apprezzare da sola avviene nel I trimestre di gravidanza ed è chiamato "fase di accrescimento": in questa fase dotti e alveoli crescono rapidamente e i seni appaiono sensibili al tatto e di volume maggiore. È la fase chiamata Mammazione ed è spinta dagli estrogeni (aumento dei dotti) e dal progesterone (accrescimento degli alveoli) . Solo una piccola parte di accrescimento coinvolge il tessuto adiposo e quello di sostegno. Dopo l’accrescimento del primo trimestre il sistema va in pausa fino a 12 settimane prima del parto, quando le ghiandole mammarie cominciano a secernere il colostro, grazie alla spinta della prolattina che contemporaneamente provoca la caduta dei livelli di estrogeni e progesterone. Questa fase chiamata Lattogenesi I durerà fino al secondo giorno dopo il parto. Successivamente compare la montata lattea (Lattogenesi II) che dura dal terzo all’ottavo giorno dopo il parto (l’inizio fisiologico è tra le 30 e le 40 ore dopo il parto). In questa fase, anch'essa controllata dagli ormoni, il seno appare turgido e caldo. Gli ormoni sono implicati anche nell’aumento della circolazione dei vasi sanguigni sottocutanei (necessario per sostenere le nuove richieste metaboliche del tessuto mammario), che determinano il cambiamento di pigmentazione e la grandezza dell’areola e del capezzolo. Dal 9° giorno fino alla fine dell’allattamento, il sistema si autoalimenta e non è più governato dagli ormoni, ma la produzione di latte è regolata dalle richieste del bambino mediante la suzione e lo svuotamento del seno è sotto il controllo autocrino, secondo il meccanismo della domanda e dell’offerta. Il passaggio dal controllo ormonale della produzione di latte al controllo guidato dal bambino avviene in modo graduale ed è necessario un periodo di adattamento (la calibrazione) che dura dalle 4 alle 6 settimane dall’inizio di questa fase (si parla, nello specifico, di Lattogenesi III). Nel sistema della domanda e dell’offerta è coinvolto l’ormone ossitocina che è responsabile della contrazione delle piccole cellule muscolari che circondano l’alveolo che permettono la spinta del latte verso il capezzolo (riflesso di eiezione del latte). L’ossitocina è prodotta maggiormente a seguito di stimoli visivi, tattili, uditivi e psicologici, quindi quando la mamma vede, sente, tocca ed è in sintonia con il suo bambino (da qui l’importanza biologica della tranquillità). ed è inibita dal dolore, dallo stress (produzione di cortisolo), dal disagio psico-fisico, dall’assunzione di alcool e nicotina.
Gli stessi ormoni che guidano i cambiamenti psico-fisiologici del corpo della mamma durante la gravidanza sono responsabili dei cambiamenti del seno nella preparazione e nel proseguimento dell’allattamento. Il primo cambiamento che la mamma può apprezzare da sola avviene nel I trimestre di gravidanza ed è chiamato "fase di accrescimento": in questa fase dotti e alveoli crescono rapidamente e i seni appaiono sensibili al tatto e di volume maggiore. È la fase chiamata Mammazione ed è spinta dagli estrogeni (aumento dei dotti) e dal progesterone (accrescimento degli alveoli) . Solo una piccola parte di accrescimento coinvolge il tessuto adiposo e quello di sostegno.
Dopo l’accrescimento del primo trimestre il sistema va in pausa fino a 12 settimane prima del parto, quando le ghiandole mammarie cominciano a secernere il colostro, grazie alla spinta della prolattina che contemporaneamente provoca la caduta dei livelli di estrogeni e progesterone. Questa fase chiamata Lattogenesi I durerà fino al secondo giorno dopo il parto.
Successivamente compare la montata lattea (Lattogenesi II) che dura dal terzo all’ottavo giorno dopo il parto (l’inizio fisiologico è tra le 30 e le 40 ore dopo il parto). In questa fase, anch'essa controllata dagli ormoni, il seno appare turgido e caldo.
Gli ormoni sono implicati anche nell’aumento della circolazione dei vasi sanguigni sottocutanei (necessario per sostenere le nuove richieste metaboliche del tessuto mammario), che determinano il cambiamento di pigmentazione e la grandezza dell’areola e del capezzolo.
Dal 9° giorno fino alla fine dell’allattamento, il sistema si autoalimenta e non è più governato dagli ormoni, ma la produzione di latte è regolata dalle richieste del bambino mediante la suzione e lo svuotamento del seno è sotto il controllo autocrino, secondo il meccanismo della domanda e dell’offerta. Il passaggio dal controllo ormonale della produzione di latte al controllo guidato dal bambino avviene in modo graduale ed è necessario un periodo di adattamento (la calibrazione) che dura dalle 4 alle 6 settimane dall’inizio di questa fase (si parla, nello specifico, di Lattogenesi III).
Nel sistema della domanda e dell’offerta è coinvolto l’ormone ossitocina che è responsabile della contrazione delle piccole cellule muscolari che circondano l’alveolo che permettono la spinta del latte verso il capezzolo (riflesso di eiezione del latte). L’ossitocina è prodotta maggiormente a seguito di stimoli visivi, tattili, uditivi e psicologici, quindi quando la mamma vede, sente, tocca ed è in sintonia con il suo bambino (da qui l’importanza biologica della tranquillità). ed è inibita dal dolore, dallo stress (produzione di cortisolo), dal disagio psico-fisico, dall’assunzione di alcool e nicotina. 

Aspettative diverse: quando lui e lei immaginano genitori diversi

Quando una coppia si avvicina alla genitorialità, spesso emergono differenze significative nelle aspettative e nelle visioni del ruolo genitoriale. Queste differenze non sono semplicemente il risultato di preferenze personali, ma affondano le radici in condizionamenti culturali, esperienze familiari e modelli sociali profondamente interiorizzati.

Uomini e donne tendono ad avere aspettative diverse riguardo alla divisione dei compiti di cura e alla gestione della vita familiare dopo l'arrivo di un bambino[3]. Mentre molte coppie contemporanee dichiarano di aspirare a una genitorialità paritaria, nella pratica, dopo la nascita del bambino, si assiste frequentemente a una "ritradizionalizzazione" dei ruoli.

Un fenomeno interessante è quello che gli psicologi chiamano "gatekeeping materno": la tendenza, spesso inconsapevole, di alcune madri a porsi come "guardiane" della relazione con il bambino, limitando o controllando il coinvolgimento paterno[4].
Questo comportamento può manifestarsi in vari modi: dalla critica costante al modo in cui il padre si prende cura del bambino, alla riluttanza a lasciare il bambino solo con lui, fino alla convinzione che "nessuno può prendersi cura del bambino come la madre". D'altra parte, alcuni padri possono avere aspettative irrealistiche sul mantenimento dello stile di vita precedente alla nascita, o possono assumere automaticamente che la madre sarà la principale responsabile della cura quotidiana del bambino.

Come professioniste del supporto genitoriale, possiamo aiutare le coppie a:

  • Esplicitare le proprie aspettative sulla genitorialità prima della nascita del bambino;
  • Identificare potenziali aree di conflitto e sviluppare strategie di comunicazione efficaci;
  • Riconoscere e mettere in discussione stereotipi di genere interiorizzati;
  • Costruire un modello di genitorialità condivisa che rispetti le inclinazioni individuali senza cadere in rigide divisioni di genere.

È particolarmente utile proporre esercizi pratici in cui entrambi i partner immaginano concretamente la loro vita dopo l'arrivo del bambino: chi si occuperà dei risvegli notturni? Come cambieranno gli impegni lavorativi? Come verrà gestito il tempo libero? Questi esercizi permettono di portare alla luce aspettative implicite e di negoziare soluzioni condivise prima che diventino motivo di conflitto.

Un altro aspetto importante riguarda le aspettative sul tipo di padre che l'uomo diventerà. Molti uomini contemporanei si trovano in una posizione complessa: da un lato, la società li incoraggia a essere padri presenti ed emotivamente coinvolti; dall'altro, persistono aspettative tradizionali sul loro ruolo di provider e figura di autorità. Questa ambivalenza culturale può generare confusione e insicurezza. Come professioniste, possiamo aiutare i futuri padri a navigare queste contraddizioni, incoraggiandoli a definire consapevolmente il proprio modello di paternità, attingendo selettivamente alla tradizione e alle nuove possibilità, in base ai propri valori e alla propria sensibilità.

Da figlio a padre: la trasformazione dell’identità maschile

Il passaggio alla paternità rappresenta una delle transizioni più significative nell'identità di un uomo.
Diventare padre non significa semplicemente aggiungere un nuovo ruolo alla propria vita, ma implica una profonda riorganizzazione del senso di sé e delle proprie priorità. Questa transizione è particolarmente complessa perché coinvolge il rapporto dell'uomo con la propria storia familiare.

Nel momento in cui diventa padre, un uomo si trova inevitabilmente a confrontarsi con la figura del proprio padre e con l'esperienza di essere stato figlio[5]. Per alcuni uomini, questo confronto può essere fonte di ispirazione: "Voglio essere presente per mio figlio come lo è stato mio padre per me". Per altri, può rappresentare una sfida: "Voglio offrire a mio figlio ciò che a me è mancato".

In entrambi i casi, il processo implica un riesame critico della propria storia familiare e dei modelli di mascolinità e paternità interiorizzati. Le ricerche mostrano che questa transizione identitaria inizia già durante la gravidanza, ma diventa particolarmente intensa dopo la nascita del bambino, quando l'uomo si trova concretamente a esercitare il ruolo paterno[6].

È in questa fase che molti uomini sperimentano quello che gli psicologi chiamano "conflitto di ruolo": la difficoltà di integrare le richieste del nuovo ruolo paterno con altri aspetti della propria identità, come il ruolo professionale o quello di partner. È particolarmente importante riconoscere che questa transizione identitaria può essere accompagnata da sentimenti di perdita e nostalgia per la vita precedente.

Molti uomini possono sentirsi in colpa per questi sentimenti, interpretandoli come segno di inadeguatezza paterna. Come professioniste, possiamo normalizzare queste emozioni, spiegando che fanno parte del normale processo di adattamento al nuovo ruolo.

Un altro aspetto cruciale riguarda il supporto alla coppia in questa fase di transizione. La nascita di un figlio trasforma non solo le identità individuali, ma anche la relazione di coppia. Aiutare i partner a comunicare apertamente su questi cambiamenti e a sostenersi reciprocamente è fondamentale per una transizione armoniosa alla genitorialità.

Alfabetizzazione emotiva: un percorso necessario per i padri

Uno degli aspetti più sfidanti della paternità contemporanea riguarda la dimensione emotiva.

A molti uomini, cresciuti in contesti che scoraggiavano l'espressione emotiva maschile, viene ora chiesto di essere padri emotivamente presenti e capaci di sintonizzarsi con i bisogni affettivi dei propri figli. Questa richiesta, per quanto legittima e benefica, può rappresentare una sfida significativa per uomini che non hanno avuto l'opportunità di sviluppare un'adeguata alfabetizzazione emotiva: la capacità di riconoscere, nominare e gestire le proprie emozioni e di sintonizzarsi con quelle altrui.

Le ricerche mostrano che molti uomini hanno un accesso limitato al proprio mondo emotivo, con l'eccezione di emozioni socialmente accettabili per il genere maschile, come la rabbia[7]. Questa limitazione non è il risultato di una predisposizione biologica, ma di un condizionamento culturale che inizia nell'infanzia, quando ai bambini maschi viene spesso insegnato a reprimere emozioni considerate "femminili" come la tristezza, la paura o la vulnerabilità.

È particolarmente importante lavorare sulla capacità dei padri di riconoscere e accogliere le emozioni dei propri figli, senza la tendenza a minimizzarle o a proporre immediate soluzioni razionali. Questo richiede un allenamento specifico alla presenza emotiva e all'ascolto empatico.

Un aspetto spesso trascurato riguarda il legame tra alfabetizzazione emotiva e capacità di stabilire confini sani nella relazione con i figli. Molti padri oscillano tra uno stile permissivo (per paura di essere autoritari come i propri padri) e uno stile autoritario (quando si sentono sopraffatti e privi di strumenti). Aiutarli a sviluppare uno stile autorevole, basato sulla chiarezza emotiva e sulla capacità di comunicare in modo assertivo, è un obiettivo fondamentale del supporto alla paternità. È importante sottolineare che l'alfabetizzazione emotiva non è un lusso, ma una necessità per i padri contemporanei. Le ricerche mostrano che i padri emotivamente presenti hanno un impatto positivo significativo sullo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale dei figli[8]. Inoltre, la capacità di gestire le proprie emozioni riduce il rischio di comportamenti aggressivi o di disimpegno nei momenti di stress genitoriale.

Anche i papà hanno le nausee: il coinvolgimento emotivo e fisico nella gravidanza

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la gravidanza non è un'esperienza esclusivamente femminile. Molti futuri padri sperimentano cambiamenti fisici e psicologici significativi durante la gravidanza della partner, un fenomeno noto come "sindrome della couvade"[9].

Questi cambiamenti possono includere sintomi fisici come nausea, stanchezza, cambiamenti dell'appetito e del peso, mal di schiena e persino dolori addominali che mimano le contrazioni. Sul piano psicologico, molti uomini riferiscono cambiamenti dell'umore, ansia, disturbi del sonno e preoccupazioni intense per la salute della partner e del bambino.

Lungi dall'essere manifestazioni di isteria o tentativi di attirare l'attenzione, questi sintomi riflettono il profondo coinvolgimento emotivo dell'uomo nella gravidanza e sono mediati da reali cambiamenti ormonali. Studi recenti hanno dimostrato che i livelli di testosterone negli uomini tendono a diminuire durante la gravidanza della partner, mentre aumentano i livelli di prolattina e cortisolo, preparando biologicamente l'uomo al ruolo paterno[10].

Al di là dei sintomi fisici, è fondamentale riconoscere il coinvolgimento emotivo dei padri durante la gravidanza. Molti uomini sviluppano un legame prenatale con il bambino, anche se questo legame può manifestarsi in modi diversi rispetto a quello materno. Mentre le madri sperimentano un legame diretto, mediato dalle sensazioni fisiche della gravidanza, i padri sviluppano spesso un legame più graduale e mediato da esperienze concrete come vedere l'ecografia, sentire il battito cardiaco del bambino o percepire i movimenti attraverso la pancia della partner[11].

È importante sottolineare che il coinvolgimento paterno durante la gravidanza ha effetti positivi a lungo termine. Le ricerche mostrano che i padri che sviluppano un forte legame prenatale tendono a essere più coinvolti nella cura del bambino dopo la nascita e a sviluppare relazioni più soddisfacenti con i propri figli[12].

Come coinvolgere il papà nel travaglio e nel parto

Il coinvolgimento del padre durante il travaglio e il parto rappresenta un'opportunità straordinaria per iniziare la relazione genitoriale in modo significativo. Tuttavia, molti uomini si avvicinano a questo momento con sentimenti contrastanti: desiderio di essere presenti e supportivi, ma anche timore di non essere all'altezza, di svenire, di essere d'intralcio o di vedere la propria partner soffrire.

Come professioniste del supporto genitoriale, possiamo preparare adeguatamente i futuri padri a questo momento cruciale, trasformando potenziali fonti di ansia in opportunità di connessione profonda. La preparazione dovrebbe iniziare ben prima del parto, attraverso:

  • Corsi di accompagnamento alla nascita specificamente pensati per includere attivamente i padri, non come semplici accompagnatori, ma come partecipanti a pieno titolo;
  • Informazioni chiare e realistiche su cosa aspettarsi durante il travaglio e il parto, incluse le possibili complicazioni;
  • Strumenti pratici per supportare la partner durante le contrazioni (massaggi, tecniche di respirazione, supporto posturale);
  • Discussioni aperte sulle paure e preoccupazioni specifiche dell'uomo riguardo al parto.

È particolarmente importante aiutare i futuri padri a identificare il proprio ruolo durante il travaglio e il parto. Questo ruolo non è predefinito, ma può variare significativamente in base alla personalità dell'uomo, alle preferenze della partner e alle circostanze specifiche del parto.

Alcuni uomini si sentono a loro agio in un ruolo attivo e pratico: massaggiare la schiena della partner, cronometrare le contrazioni, comunicare con il personale sanitario. Altri possono preferire un ruolo più emotivo e relazionale: offrire rassicurazione verbale, mantenere il contatto visivo, essere una presenza calma e rassicurante.

Come professioniste, possiamo aiutare la coppia a discutere apertamente di queste preferenze e a sviluppare un "piano di supporto" che rispetti i bisogni di entrambi. È fondamentale sottolineare che non esiste un modo "giusto" di essere presenti al parto, e che il supporto più efficace è quello che risponde ai bisogni specifici della donna in quel momento.

Un aspetto spesso trascurato riguarda la preparazione emotiva del padre all'esperienza del parto. Vedere la propria partner nel dolore può essere un'esperienza emotivamente intensa, che può generare sentimenti di impotenza, ansia o persino trauma. È importante anche preparare i padri alla possibilità di cambiamenti imprevisti nel piano del parto, come la necessità di un cesareo d'emergenza o di interventi medici non pianificati.

In queste situazioni, il padre può sentirsi particolarmente disorientato e escluso. Fornire informazioni preventive su queste possibilità e sul ruolo che il padre può comunque mantenere può ridurre significativamente lo stress in queste circostanze.

Infine, è fondamentale riconoscere l'importanza del contatto precoce padre-bambino subito dopo la nascita. Le ricerche mostrano che questo contatto, facilitato da pratiche come il skin-to-skin tra padre e neonato quando la madre non è disponibile, ha effetti positivi significativi sullo sviluppo del legame paterno e sul coinvolgimento futuro nella cura del bambino.[13]

I consigli che puoi dare ai neopapà

Come professioniste del supporto genitoriale, abbiamo l'opportunità di accompagnare i neopapà nei loro primi passi nel ruolo paterno, offrendo strumenti concreti per affrontare le sfide di questa fase e per sviluppare una relazione significativa con il proprio bambino.

Creare una relazione diretta con il bambino

Uno dei consigli più importanti che possiamo offrire ai neopapà riguarda l'importanza di sviluppare una relazione diretta e personale con il bambino, non mediata dalla madre. Questo significa:

  • Incoraggiare momenti di cura esclusiva, in cui il padre si prende completamente carico del bambino (non solo come "aiutante" della madre);
  • Suggerire attività specifiche che favoriscano il bonding padre-bambino, come il bagnetto, il massaggio infantile, la lettura ad alta voce;
  • Normalizzare il fatto che il padre svilupperà un proprio stile di accudimento, diverso da quello materno ma ugualmente valido.


È importante sottolineare che la competenza genitoriale si sviluppa attraverso l'esperienza diretta e che è normale sentirsi inizialmente meno sicuri rispetto alla madre, che potrebbe aver avuto più opportunità di contatto con il bambino (gravidanza, allattamento). Questa insicurezza iniziale non è indice di minore capacità genitoriale, ma semplicemente parte del processo di apprendimento

Gestire la stanchezza e la privazione del sonno

La privazione del sonno rappresenta una delle sfide più significative per i neopapà, specialmente per quelli che devono tornare al lavoro poco dopo la nascita. Possiamo offrire consigli pratici come:

  • Strategie per massimizzare la qualità del sonno nei momenti disponibili;
  • Tecniche di rilassamento rapido per recuperare energia;
  • Suggerimenti per la gestione dei turni notturni, in modo che entrambi i genitori possano riposare.

È particolarmente importante affrontare il mito secondo cui i padri che lavorano fuori casa "dovrebbero" dormire di notte mentre le madri si occupano del bambino. Questo modello non solo sovraccarica le madri, ma priva i padri di momenti significativi di connessione con il bambino. Un approccio più equilibrato, che tenga conto delle esigenze di entrambi i genitori, è generalmente più sostenibile nel lungo periodo.

Affrontare i cambiamenti nella relazione di coppia

L'arrivo di un bambino trasforma inevitabilmente la relazione di coppia, e molti neopapà si sentono disorientati di fronte a questi cambiamenti. Possiamo offrire supporto attraverso:

  • Informazioni normalizzanti sui cambiamenti tipici nella relazione dopo la nascita di un figlio;
  • Strategie di comunicazione efficace in condizioni di stanchezza e stress;
  • Suggerimenti per mantenere una connessione emotiva e intima anche nei momenti di maggiore assorbimento nella cura del bambino.


È particolarmente importante affrontare il tema della sessualità post-parto, un argomento spesso tabù ma che rappresenta una preoccupazione significativa per molte coppie. Informazioni chiare sui cambiamenti fisici e psicologici che influenzano la sessualità dopo il parto, insieme a suggerimenti per mantenere l'intimità anche attraverso modalità non sessuali, possono essere estremamente utili.

Riconoscere e affrontare la depressione paterna post-partum

Un aspetto cruciale del supporto ai neopapà riguarda il riconoscimento e la gestione della depressione paterna post-partum, una condizione che colpisce circa il 10% dei neopapà ma che rimane ampiamente sottodiagnosticata[14]. Come professioniste, possiamo:

  • Informare i padri sui sintomi della depressione paterna, che possono differire da quelli tipici della depressione femminile (irritabilità, ritiro sociale, aumento del consumo di alcol, comportamenti a rischio);
  • Normalizzare la richiesta di aiuto, contrastando lo stigma che circonda la vulnerabilità emotiva maschile;
  • Fornire riferimenti a servizi di supporto psicologico specificamente sensibili alle problematiche maschili.

È importante sottolineare che la depressione paterna non è segno di debolezza o inadeguatezza, ma una condizione medica che richiede attenzione e trattamento, esattamente come la depressione materna.

Integrare la paternità con gli altri ruoli di vita

Molti neopapà si trovano a dover bilanciare le richieste del nuovo ruolo paterno con quelle professionali e sociali. Possiamo offrire supporto attraverso:

  • Riflessioni sulla ridefinizione delle priorità di vita dopo la nascita del bambino;
  • Strategie pratiche per la gestione del tempo e dell'energia;
  • Informazioni sui diritti dei padri lavoratori (congedi parentali, permessi, flessibilità lavorativa)

È particolarmente importante incoraggiare i padri a comunicare apertamente sul luogo di lavoro riguardo alle proprie esigenze genitoriali, contribuendo così a normalizzare l'idea che la responsabilità familiare riguarda entrambi i genitori, non solo le madri.

Conclusioni: verso una genitorialità condivisa e consapevole

Il coinvolgimento paterno rappresenta un elemento fondamentale per il benessere di tutti i membri della famiglia. I bambini con padri attivamente coinvolti mostrano migliori risultati in termini di sviluppo cognitivo, emotivo e sociale[15]. Le madri con partner supportivi sperimentano minori livelli di stress e un migliore adattamento alla genitorialità[16]. Gli stessi padri, quando pienamente coinvolti nella relazione con i propri figli, riferiscono maggiore soddisfazione di vita e benessere psicologico[17].

Come professioniste del supporto genitoriale, abbiamo la responsabilità e il privilegio di contribuire a questa trasformazione culturale, creando spazi in cui i padri possano essere pienamente riconosciuti nel loro ruolo genitoriale, con le loro specifiche risorse e sfide.

Questo significa ripensare le nostre pratiche professionali, assicurandoci che siano realmente inclusive e non semplicemente "aperte" alla partecipazione paterna. Significa riconoscere che i padri non sono versioni imperfette delle madri, ma genitori con una propria specificità, ugualmente capaci di cura, empatia e connessione emotiva. Significa anche lavorare attivamente per contrastare stereotipi di genere limitanti, che danneggiano sia gli uomini che le donne, impedendo loro di esprimere pienamente il proprio potenziale genitoriale.

In ultima analisi, promuovere il coinvolgimento paterno significa lavorare per una società in cui la cura non sia considerata una prerogativa femminile, ma una responsabilità e un'opportunità umana, condivisa equamente tra tutti i genitori, a beneficio dei bambini, delle famiglie e della società nel suo complesso.

Se anche tu vuoi essere parte di questo cambiamento, iscriviti al Master di Vivinfanzia per il supporto genitoriale.

Riferimenti bibliografici:

[^1]: Condon, J. T., Boyce, P., & Corkindale, C. J. (2004). The First-Time Fathers Study: A prospective study of the mental health and wellbeing of men during the transition to parenthood. Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 38(1-2), 56-64.[^2]: Bertocchi, F., & Camoletto, R. F. (2020). Diventare padri in Italia: un'analisi delle transizioni alla paternità. Polis, 34(1), 85-112.[^3]: Schoppe-Sullivan, S. J., & Fagan, J. (2020). The evolution of fathering research in the 21st century: Persistent challenges, new directions. Journal of Marriage and Family, 82(1), 175-197.
[^4]: Allen, S. M., & Hawkins, A. J. (1999). Maternal gatekeeping: Mothers' beliefs and behaviors that inhibit greater father involvement in family work. Journal of Marriage and the Family, 61(1), 199-212.
[^5]: Palkovitz, R. (2002). Involved fathering and men's adult development: Provisional balances. Lawrence Erlbaum Associates Publishers.
[^6]: Genesoni, L., & Tallandini, M. A. (2009). Men's psychological transition to fatherhood: An analysis of the literature, 1989–2008. Birth, 36(4), 305-318.
[^7]: Levant, R. F., Hall, R. J., Williams, C. M., & Hasan, N. T. (2009). Gender differences in alexithymia. Psychology of Men & Masculinity, 10(3), 190-203.
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